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“Mettere al centro del progetto i ragazzi”: come lo state facendo?

Le scuole calcio italiane sono ad oggi una realtà noiosa, dove si pone l’attenzione solo su alcune abilità specialistiche attraverso attività ripetitive ed interpretate rigidamente. Le due frasi più in voga nel mondo del calcio giovanile italiano, pronunciate da tutti gli addetti ai lavori sono: “Stiamo lavorando con nuove metodologie che mettano al centro del progetto il bambino/ragazzo”; “Stiamo lavorando per costruire calciatori intelligenti/pensanti”.

Primo pensiero? Horst Wein non è mai stato così di moda come in questo periodo.

Credo che sia necessario riflettere veramente su cosa significhi mettere al centro del progetto il bambino/ragazzo.

In Italia questo concetto viene più che frainteso, iniziamo partendo da dove viene svolta l’attività ludica dei ragazzi: la scuola calcio. 

Per comprendere bene questa realtà credo sia doveroso partire proprio dall’analisi di cosa avviene all’interno degli istituti scolastici: Qui troviamo una tradizionale concezione di insegnamento, dove  l’elemento cardine del modello è la figura del docente, testimoniato questo da una forte asimmetria tra il docente e l’alunno. L’insegnante trasmette nozioni, con l’intento di far si che questi saperi vengano accumulati e raggiungano i ragazzi, veri e propri riceventi passivi. Dove la motivazione all’apprendimento è estrinseca ovvero, fornita per esempio dalla ricerca di un bel voto o giudizio.

Il primo aspetto su cui riflettere, il più banale, è: qualcuno si è mai chiesto cosa provochi in un bambino/ragazzo l’associazione della parola scuola ad un’attività che per lui è la massima espressione dell’entusiasmo, della gioia? Il calcio.

I bambini quando (oramai sempre più di rado) si recano in un parco con gli “amichetti” si dicono: andiamo a giocare.

Ma quando vanno a scuola calcio, si dicono oggi vieni a calcio? come se fosse la materia: Calcio

E’ evidente come già con un piccolissimo ragionamento di questo tipo si possa intuire che forse non stiamo proprio mettendo i ragazzi al centro del progetto.

La maggior parte delle società calcistiche italiane permettono che gli “allenatori” ( i più fortunati anche stipendiati dalle società stesse), raramente guide, formatori o mediatori come abbiamo già visto in un altro articolo, utilizzino stili riproduttivi: direttivi, di comando, dove i bambini/ragazzi, come avviene nel sistema scolastico, fanno ciò che gli prescrive “l’allenatore”, eseguendo e copiando quel che gli viene imposto e/o mostrato.

La riproduzione del modello dimostrato dall’educatore taglia la strada a qualunque sviluppo creativo o emersione di una soluzione estrosa, inusuale. Questa è la verità.

Riflettiamo su alcune domande cruciali: ma l’insegnamento, così come lo sto descrivendo esiste? è efficace? ma sapendo che l’apprendimento deriva dall’esperienza e soprattutto che non c’è apprendimento a lungo termine senza divertimento, allora dove stiamo andando, che strada si sta percorrendo?

I campi di calcio delle società sportive professionistiche e non, anche quando in campo ci sono i bambini sono così ordinati, come del resto le “esercitazioni”: file, coppie, tutto strutturato, organizzato, a posto.

Ma chi è il protagonista? decisamente gli allenatori! 

Avete mai visto dei bambini giocare liberamente in un parco, in una villa, in un oratorio? Il caos la fa da padrone, perché è dal caos, dall’essere sregolati, disordinati che può emergere da ognuno il meglio che ogni singolo può essere. L’ essere umano deve confrontarsi con il caos per natura, non è una macchina costituita da tante piccole parti, ordinata e rigida. Stiamo andando contro natura!

Ma gli occhi degli adulti, gli “allenatori”, i genitori, in queste modalità vedono l’inefficienza, l’inutilità, la perdita di tempo, il disordine, il disagio.

Domandiamoci di nuovo, a questo punto, chi è realmente al centro del progetto?

Non smetterò mai di ripetere:  servono formatori, educatori, guide, mediatori per i ragazzi, in grado di formare uomini e creare le condizioni per l‟apprendimento ed il successo, nella vita prima che nello sport. Ogni ragazzo è un sistema complesso, unico, con caratteristiche originali, e la capacità nel lavorare con i giovani sta proprio nel far emergere le loro irripetibili ed esclusive peculiarità, senza oppressioni o modificazioni forzate. Il “formatore” più esperto e competente è invece quello che maggiormente viene trascurato e sminuito: il gioco. Il gioco libero.

Si deve avere  il coraggio di variare, di lavorare con stili di scoperta e/o attraverso la pratica deliberata, comunicando con feedback che non siano correttivi, controllanti e giudicanti, dove vengano stimolate le funzioni esecutive dei ragazzi, la creatività motoria e tattica( che è una forma di creatività di pensiero, e non se un bambino ha eseguito correttamente una diagonale come gli veniva chiesto “dall’allenatore”). Chi lavora con i ragazzi deve fungere da facilitatore restando fuori dai contenuti così che i ragazzi trovino da soli le risposte più efficaci.

Deve essere il bambino a guidare, a decidere, ad essere il protagonista. Noi adulti non indispensabili come si vuol far credere, dobbiamo fare tutti un passo indietro.

La realtà è che quando una società, la FIGC o un ente propongono di lavorare mettendo al centro del progetto i ragazzi, interpretano questa modalità assolutamente non con lo spirito giusto, sono sempre i grandi, gli adulti ad avere il comando. Quindi si crea un luogo di reclutamento sportivo , volto sempre al solito obiettivo, l’inutile setaccio precoce del talento, ma questa volta camuffato da un altro metodo.

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